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Visualizzazione dei post da settembre, 2020

L'estasi di Ostia

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Nel libro nono delle "Confessioni" sant'Agostino ricorda un momento intenso di contemplazione vissuto insieme a Monica, sua madre.  Anno 387, da poco Agostino ha ricevuto il battesimo e in viaggio fa tappa ad Ostia Tiberina, insieme alla madre, che qualche giorno dopo si sarebbe ammalata gravemente e sarebbe morta.  Agostino descrive in modo meraviglioso un dialogo profondo con Monica, un'esperienza mistica nutrita dalle Sacre Scritture. Due cuori intensamente impregnati di Parola di Dio e ardenti di desiderio per il Regno eterno, vivono intensamente un assaggio del dono futuro.  "Incombeva il giorno in cui doveva uscire da questa vita - e Tu lo conoscevi quel giorno, noi no. Accadde allora per una Tua misteriosa intenzione, credo, che ci trovassimo soli io e lei, affacciati a una finestra che dava sul giardino interno della casa che ci ospitava, là nei pressi di Ostia Tiberina, dove c'eravamo appartati lontano da ogni trambusto, per riposarci della fatica di

Santosha

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  Sono rimasto sorpreso di trovare nella spiritualità induista un "precetto", che si può richiamare con la parola sanscrita "santosha" (sam  “tutto” e tosha “appagamento” cioè, nell’insieme “contenti”), che spinga chi pratica la disciplina dello yoga ad essere contento, ad essere felice di quello che si ha. Il capitolo secondo dello "Yoga Sutra" di Patanjali lo mette tra le regole di comportamento fondamentali. Accontentarsi, essere contento di ciò che si è e di ciò che si ha. Non è semplice, ne tanto meno ovvio, in un mondo come il nostro dove veniamo educati fin da bambini ad avere sempre di più e il meglio, a non accontentarsi mai, ma migliorare sempre, crescere di più, andare avanti all'infinito e tutto, sempre, in competizione con gli altri.  Accontentarsi è sapienza. Accontentarsi è essere felici qui e ora.  Accontentarsi è essere libero dall'ansia e dall'affanno. Cedo la parola a Paolo, missionario infaticabile di Gesù: "So vivere n

Irradiando amore

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  Nel pellegrinaggio dello spirito, che consiste nel meditare testi di tradizioni spirituali diverse, si rimane spesso sorpresi accostando pagine, lontane geograficamente, ma vicine e affini nello Spirito.  Un esempio sono i brani che meditiamo oggi, uno tratto dal Mettā Sutta, della tradizione buddista e l'altro tratto dalla lettera di Paolo ai Romani, che nutre da due millenni la nostra tradizione cristiana.  Leggiamo il testo buddista: “Che nessuno inganni l’altro, né lo disprezzi né con odio o ira desideri il suo male. Come una madre protegge con la sua vita il suo figlio, il suo unico figlio, così con cuore aperto si abbia cura di ogni essere, irradiando amore sull’universo intero, in alto verso il celo, in basso verso gli abissi, in ogni luogo, senza limitazioni, liberi da odio e rancore”. Un amore che irradia in ogni direzione, con amorevolezza materna. Instancabile fiducia in ciò che guarisce da odio e rancore. Coltivare nel proprio cuore tutto questo porta beneficio ad ogn

Le quattro dimore divine

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  Questo nome così pieno di fascino indica nel buddismo quattro realtà importanti e umanizzanti. Sono quattro perle preziose senza le quali la vita è brutta e priva della luminosità necessaria nelle relazioni che viviamo quotidianamente. È necessario meditare sulle quattro dimore divine per contrastare il clima di poco rispetto e aggressione che sembra diffondersi sempre di più nel nostro tempo.  Le quattro dimore divine sono: muditā (gioia compartecipe), mettā (gentilezza amorevole), karunā (compassione) e upekkhā (equanimità). Sono quattro qualità o stati mentali altamente desiderabili; è l'amore che si fa in quattro, che si esprime in preziose sfumature. Vivere queste dimensioni ci permette di riposare nelle dimensioni più profonde dello spirito umano, pur vivendo le nostre solite travagliate giornate. Sono stati mentali da coltivare nella meditazione con pazienza e fiducia. Muditā è la gioia compartecipe,  è offrire gioia all'altra persona e considerare la gioia altrui come